mercoledì 9 maggio 2012

GOTICO PIEMONTESE - 11esima puntata


 Passano i giorni ma il clima non accenna a migliorare; ancora quel freddo che entra nelle ossa, si insinua traditore e non c'è porta adeguata a fornire un sufficiente riparo.
  La nebbia non accenna a voler lasciare il villaggio ed i suoi boschi, e per quei paesani già abitualmente spersi nel nulla, il mondo sembra non esistere più al di là del Borgo, dei boschi, e di quella spessa coltre di nebbia.

 Quanto accaduto alla taverna di Isabella è sulla bocca di tutti, e da quella volta Antonia non s'è più vista in paese, non si sa che fine abbia fatto.
  Si gela nella casupole come al castello, e tutti sono rintanati come topi, seduti attorno ai camini a chiacchierare, e l'argomento sulla bocca di tutti è quello.
  Contrariamente a quanto solitamente accade in quel paese pettegolo, per il suo passato di donna di solidi principi morali, cristiana fervente e moglie premurosa, Antonia gode di una certa indulgenza nei confronti del suo comportamento, sono quasi tutti pronti a scusarla e dare la colpa ad un attacco di pazzia, piuttosto che tacciarla come immonda peccatrice.
  Stregoneria? Nel proprio intimo, forse ciascuno ci sta pensando, ma un po' per affetto e un po' per evitare rogne, nessuno si prende la briga di parlarne esplicitamene.
  Hanno ancora tutti chiaro nella mente cos'è successo all'intero Borgo anni addietro, quando l'Inquisizione ha preso Pietro per interrogarlo, e non intendono certo rivivere quei momenti.
  Al Borgo, l'unico a nutrire ammirazione per la Santa Inquisizione è Padre Lanfranco, l'integerrimo sacerdote inviato a custodire quel gregge di anime.
  Tuona continuamente contro i peccati capitali, e non perde occasione per difendere e parlare con toni ridondanti ed entusiasti dei metodi e dell'attività “purificatrice” e “cara a Nostro Signore” dell'Inquisizione.
  In gioventù è stato anche lui inquisitore, e ha partecipato più volte ad interrogatori e torture. L'aria affabile e bonaria non deve trarre in inganno: dentro di lui si cela una personalità da bigotto sanguinario, pieno di curiose turbe psichiche.
  Ha visto rovinate le sue grandi ambizioni in ambiente ecclesiastico per l'aver pestato un po' troppo i piedi ad una potente famiglia di Torino, e si è ritrovato inesorabilmente spinto fuori dai grandi giochi di potere, relegato in quella piccola macchia di terra che non risulta neppure segnata sulle carte.
  Resta lì a predicare, senza che i parrocchiani lo ascoltino – per tutti lì la Chiesa è rappresentata unicamente dal Monastero e i suoi Frati – ma a lui poco importa: tiene gli occhi aperti, certo com'è che prima o poi arriverà per lui una nuova occasione, una fortuita scusa per andarsene.

 Dopo l'episodio di Antonia, la taverna lavora a pieno ritmo: tutti vogliono recarsi sul luogo del misfatto per saperne di più.
  E fra i paesani c'è anche chi nemmeno questa volta ha curiosità ed intenzioni bonarie: Pinin ed il suo gruppo di comari non frenano le loro lingue velenose neppure di fronte alle disavventure della brava Antonia.
  Prendono posto al tavolo, e Pinin sentenzia ad alta voce:
<<MA CHE MALEDISSIÒN E MALEDISSIÒN! I LAI SEMPRE DILO CHE CHÌLA LÌ A L'È NA
FOM-NA DA POCH! [Ma quale maledizione e maledizione! L'ho sempre detto io che è una donna che vale poco!]
E TI CIAM-LA STÙPIDA! A L'È PI FÙRBA CHE MI! [E chiamala stupida! È più furba di me!]>>
  Isabella ben conosce i suoi polli, il passato senza macchia di Antonia e la linguaccia malefica di Pinin, e ritiene che questa volta stia davvero esagerando, così la sbatte fuori del locale:
  <<VAT-NE A CÀ, BRÙTA CIOSPA! E RINGRASSIA CHE IT PÌJO NEN A SGIAFF! [Vattene a casa! E ringrazia che non ti do due schiaffi!]>>
  Il piccolo litigio diverte tutti i presenti, che stanno ancora un po' a ridere dell'accaduto e poi fanno ritorno alle loro case.
  Anche Fosco, alla maniera solita, si alza, paga Isabella e se ne va senza salutare, inoltrandosi nell'oscurità; nessuno sa dove abiti e nessuno se lo chiede.
  Semplicemente, per quanto misterioso, è una delle “facce da villaggio”, e tanto basta, a tutti.

 Frattanto, coi favori della nebbia, si aggira circospetta una figura diafana, una donna alta, magra e pallida, dai lunghi capelli corvini.
  Si muove furtiva e veloce, silenziosa come un'ombra. Un'occhiata dentro taverna le permette di capire chi è fuori casa, ed eccola, all'interno delle casupole, scattante e precisa come una gazza, e poi subito fuori, col bottino.

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