mercoledì 25 aprile 2012

GOTICO PIEMONTESE - 2nda puntata


  Le luci della sera avvolgono ormai l'intero Borgo. In cima alla collina, imponenti contro il cielo, si stagliano le torri gotiche del castello. Tutt'intorno aleggia una luce inquietante, come se il freddo pungente fosse diventato colore, ma un colore indefinito e indefinibile, buio eppure luminoso.
  In tutto il Poggio solo due persone si aggirano, senza mai incontrarsi.
Mentre tutti sono rintanati nelle loro dimore, Ritin vaga per le strade con passo stanco, portandosi appresso i sui chili di troppo, i vestiti sformati sporchi e maleodoranti.
  Con testa ciondolante e sguardo sperso nel vuoto vagabonda senza motivo e senza meta, fischiettando tra sé: la conoscono tutti come la scema del villaggio, ma in fondo tutti le vogliono bene.

 A pochi metri di distanza, senza riuscire a scorgerla e senza essere visto, ecco avanzare con incedere zoppicante Fosco – anche lui con indosso abiti carichi di sporcizia – senza altro ruolo se non quello di aggiungere inquietudine alla già poco rassicurante atmosfera.
  Chi egli sia veramente, e quali siano i suoi desideri o scopi, nessuno lo sa.
Fosco è arrivato un giorno d'autunno. I pochi abitanti, pur avendolo notato con tutte le sue stranezze, si sono sforzati di accoglierlo nel migliore dei modi, ma lui non ha mai dato corda., a nessuno. Gira sempre solo, non fa il filo alle ragazze del Borgo...
  Nessuno conosce il suo vero nome, e così, per tutti i suoi compaesani, è stato ribattezzato Fosco.
Nemmeno si conosce da dove venga, dove abitasse prima.
  Lo si può trovare sovente ad ubriacarsi alla taverna di Isabella, ma nessuno ci presta attenzione più di tanto: ubriacarsi è sì considerato un peccato, ma è anche riconosciuto come uno dei pochi modi che aiuta quei poveri paesani a sopportare meglio una miserevole esistenza.
  Pinin, la zitella, ci ha già fatto più di un pensierino su quel Fosco...

 Pinin è convinta di essere bella, e forse un tempo lo è stata davvero.
Ma ora le curve sinuose hanno lasciato il posto a rotondità flaccide sporgenti dai punti sbagliati. Il “puciu” nel quale raccoglie i capelli ormai brizzolati che poi ricadono malamente sul volto macchiato dal sole, e l'espressione altera che getta con sufficienza sulle persone che non ritiene all'altezza del suo rango, la fanno talvolta sembrare ad un animale impagliato.
 Una civetta dallo sguardo vitreo vuoto, ferma ad ogni angolo del paese a menar la lingua con le altre comari bigotte, pronte a sputar sentenze e spettegolare su chiunque semplicemente abbia il coraggio di essere se stesso, fregandosene delle convenzioni, ed in generale sui più poveri e disagiati della società.
 A dir la verità Pinin si impunta particolarmente a parlar male delle belle ragazze del Borgo, “colpevoli” di attirare l'attenzione degli uomini.
 Fra tutte detesta la bella Rosina, figlia della levatrice Berta.

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