martedì 13 febbraio 2018

Tutti vorrebbero essere noi... Cioè, loro




 Dopo la "benedizione" del molleggiato, nonché quella di Marino Bartoletti, e gli ascolti stratosferici, non serviva certamente il mio parere. Ma ci tenevo a darlo.
 Claudio Baglioni, è stato un direttore artistico eccellente, che ha dato grandissimo spazio alla musica, a 360 gradi; e beneficiare della sua voce e dei suoi successi, senza dubbio un grande vanto italiano, è stato il valore aggiunto. Se il Festival fosse continuato ancora una settimana, avrebbe persino imparato a presentare! Ma ci è piaciuto anche così: timido, delicato, elegantissimo, con la sua voce sempre calda e sensuale, ed una padronanza lessicale da fare innamorare.
 E pazienza per quel viso tristemente "siliconato", che rovina la sua bellezza.
 Per la prima volta, è stato cancellato il ruolo di valletta/bambola in mostra, in favore di una straordinaria presentatrice, piuttosto che delle cantanti, in gara oppure ospiti, o di una stratosferica Virginia Raffaele.
 E, per la prima volta da poiché io mi ricordi, non c'è stata un'inutile tensione da gara, ma il piacere di ascoltare le canzoni, a prescindere dalla gara; poi, i gusti sono gusti. Ma quest'anno, credo proprio di poter rubare le parole a Pippo Baudo, asserendo che Sanremo è cominciato da domenica scorsa, e durerà fino al prossimo anno, dando alle canzoni tutto il tempo di crescere, e di farsi apprezzare.
 Michelle, è stata Divina! Simpatica, spigliata, vera regina della scena, ha saputo però stare in disparte quand'era il momento, ed ha incarnato perfettamente il comune denominatore di quest'edizione del Festival di Sanremo: la genuinità.
 Pierfrancesco Savino, che già conoscevamo come attore straordinario, ha dato prova di saper portare le sue capacità professionali anche sul difficile palcoscenico dell'Ariston.
 Il monologo di Koltès che ha magistralmente portato in scena - no, neppure "magistralmente" basta per definire quel momento eccelso - è piaciuto a quasi tutti, ma è stato tristemente strumentalizzato dai più, mentre anche in questo senso Sanremo 2018 ha fatto eccezione: per la prima volta da quando io possa ricordarmi, non c'è stata propaganda politica in alcun senso.
 E "la notte poco prima della foresta" è molto, ma proprio moltissimo oltre un politico discorso sull'immigrazione. Parla della condizione umana dello "straniero", che ha mille volti, mille versioni, infinite sfaccettature, e può toccare ciascuno di noi. A prescindere da quella che possa essere la visione politica, le soluzioni che ciascuno di noi può ritenere giuste, non essere vicino alla condizione dello "straniero" che Favino ha portato l'altra sera sul palco in modo sublime, è semplicemente disumano e immorale.

 Dunque, pensando al futuro, istruzioni per l'uso per chi, come me, anche per Sanremo 2019 sarà ai box, fra gli "sfigati" che non fanno parte del carrozzone: se non vi piace e non vi interessa, basterà non guardarlo, senza farvene un vanto rompendo le scatole a chi invece ne è appassionato.
 Se invece, da tradizione lo guardate, ma la nuova edizione dovesse non piacervi, come sopra: col telecomando, cambiate canale. Ed approfittatene magari per farvi un esame di coscienza, e rendervi conto che sfogare la frustrazione della vostra mediocrità sul Festival, non farà altro che rendervi seriamente degli sfigati, non in senso scherzoso e virgolettato come da me citato prima. Visto che, gusti personali a parte - per me il Sanremo più bello in assoluto è stato quello appena concluso - non credo si possa dire che sia mai esistito un Festival di Sanremo oggettivamente brutto. Che chi ci lavora è del mestiere un pochino più di noi, che possiamo accontentarci si scriverne.
 E se diffondere positività, genera positività, diffondere invidia mascherata da negatività, auto-genera sfiga.

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